
Mi sveglio storto. Molto storto. Ogni piccola sfumatura che non va nella direzione da me indicata (che cambia in frazioni di secondo impercettibili) scatena la mia sceneggiata latino-partenopea (un misto fra urla di rabbia atavica e pianti disperati, di solito funziona alla grande). Voglio comunicare al gruppo che i miei desideri sono importanti, anzi sono ordini, caspita.
Voglio l’acqua, ma forse no, in ogni caso urlo. Voglio fare il bagno, ma ho freddo, la cosa non mi aiuta. Voglio che i secchielli siano tutti miei, a disposizione, mio fratello è grande, può fare senza. Voglio la birra e il caffè, anche se non posso. Voglio poter riposare, ma rimanendo sveglio a giocare con il vecchio.
Da quando ho imparato a dire sì e no con la testa, prediligo nettamente il no.
Insomma voglio l’impossibile, e lo avrò. Supero anche qualche scoglio momentaneo, tipo quando il Matusa mi ha portato a fare un giro mentre cercavo di comunicare a tutta la spiaggia, fino ai confini con i lidi palermitani, che stavano usurpando i miei diritti di quasi duenne. Dovrei organizzare un gruppo No Matusa, contro ogni discriminazione dei bambini sotto i due anni. Se i secchielli sono di qualcuno, questo sono io. Non certo del mio fratellone troppo grande per giocare con questi arnesi.
Ad ogni modo, che sia latte o che sia uovo, arriviamo al pomeriggio.
Mi portano al mare, vicino a dei grandi sassi, con la spiaggia che finisce in acqua dopo una discesa ripidissima. Io la percorro in su e in giù un sacco di volte. E’ così divertente che faccio il bagno un sacco di volte.
Mangiamo vicino al mare, sui sassi, io, la Santissima, il Matu, Frenci, la cugi, i nonni e gli zii. Tengo banco con la mia simpatia innata.
Vedo il sole che dà un bacino al mare prima di andare a nanna.
E’ dolce come me.