
Durante la notte il vento da ovest non smette di ululare e anche quando ci svegliamo ci fa compagnia. Il ponfo sul collo, regalatomi dalla vespa di Tivoli due giorni fa, mi prude ancora. Però la giornata è limpida e soleggiata. Proprio quella giusta per perdersi a Copenaghen.
Alla stazione di Humlebæk il treno per Copenaghen è in ritardo di 10 minuti. Ale coglie l’occasione per prendersi un macchiati da asporto nel rifornito e hygge caffè ferroviario. I pargoli se la passano fra scorribande col monopattino al limite della segnaletica dei binari e le pozzanghere.
Suggerisco ai Frenci e Richi che il treno è un buon posto per leggere, per ricavarmi il tempo di proseguire nella lettura del mio libro sui vichinghi, io e Ale nella zona di ingresso dei vagoni e i fratelli seduti da soli in seconda classe. Il fratellone legge i libri al fratellino.
Arriviamo alla stazione di Kongens Nytorv, dopo aver preso la metro. Nella piazza c’è un torneo di beach volley, con sabbia, rete, musica, promozione di 7up e arbitro. C’è anche un mercatino dell’antiquariato. Frenci beve la bibita gassata che offrono generosamente due bionde danesi, si stanca subito perché dice che riempie. Come sempre, la finisco io.
Passeggiamo per le strade del quartiere e giungiamo ai giardini reali che ci consumano un bel po’ di foto, insieme al castello di Rosenborg, antica residenza del Re, oggi sede del Museo della Collezione Reale Danese. Tutto molto bello, ma i monumenti mi hanno sempre affascinato fino a un certo punto, ciò che mi cattura l’attenzione sono le persone.
Giro per le strade che sembro un incrocio fra un fotografo professionista e un facchino: zaino in spalla, borsa della macchina fotografica a tracolla, macchina fotografica già pronta all’occorrenza (teleobiettivo con ISO e programma selezionato) al collo, monopattino di Frenci nella mano sinistra e monopattino di Richi nella mano destra.
Giungiamo finalmente in un ambiente sociale: il TorvehallerneKBH, un mercato floreale e ortofrutticolo circondato da negozi alimentari e punti di ristoro di tutte le varietà immaginabili. I piccoli però non si tengono più. Ci appoggiamo nella piazza vicina per farli pascolare con i monopattini, che finalmente tornano ad essere utili. Frenci vuole una pizza, Richi un hotdog. Ale non ha ancora fame, decido di temporeggiare anche io.
Parto in missione per la pizza. Cerco prima un bagno e una wifi, due servizi che trovi sempre disponibili in Danimarca, funzionali e gratis. Scopro a un isolato la Pizzeria Imperia. Entro e in inglese chiedo una pizza solo pomodoro e mozzarella. Il pizzaiolo mi chiede in italiano: “vuoi una margherita?”. “Sì, grazie”. Mi sento a casa e respiro.
Mi siedo e mentre aspetto la cottura guardo alla TV le olimpiadi, c’è una gara di arrampicata e una giapponese arriva fino in cima.
Torno alla base accompagnato solo dalla pizza, perché conto sul fatto che Richi abbia abbastanza fame da evitare di aspettare anche l’hot dog e infatti tutte le fette (molto buone) vengono spazzolate da entrambi, mentre io sgranocchio i pezzi di crosta avanzata.
Terminata la prima portata però, arriva anche il momento della seconda (Richi non si è sfamato) e a questo punto sfruttiamo l’occasione anche io e la Ricciola e ci facciamo due New Yorker hot dog, con cipolla e senape, una Mikkeller, la birra danese e in chiusura un mochi, il gommoso dolce giapponese che si attacca al lavoro del tuo dentista. Come mangiare durante in viaggio intercontinentale, o al Mercato Europeo a Ferrara.
Il TorvehallerneKBH è un via vai di persone continua, che assaporano i gusti del mondo, dalla cucina danese, a quella orientale, dalla spagnola, alla francese, dall’italiana alla sudamericana. I profumi che arrivano da ogni dove mi inebriano e il sole mi scalda a dovere la pelle rinfrescata dal vento. Diverse persone passano tra i bidoni dell’immondizia per raccogliere lattine, bottiglie di plastica e di vetro e ci riempiono enormi borsoni. I rifiuti sono il nuovo oro.
Passiamo il pomeriggio tra Israels Plads che ospita un festival artistico di sculture, balli e dipinti (che Frenci e Richi dribblano con i loro monopattini, mentre decine di ragazzine fanno un contest di R&B davanti ad una telecamera) e il parco Ørsted, in cui parcheggiamo i pargoli, è il caso di dirlo, alla solita area giochi.
Noi ci beviamo un Ice Latte, che può essere confuso con un latte freddo, ma è un caffè latte con ghiaccio, con doppio caffè. Il grazioso locale Flindt & Ørsted in cui lo acquistiamo è letteralmente immerso nella natura: rami di piante rampicanti al suo interno se ne stanno appropriando.
Ed è qui che entro nel ruolo del danese al parco con i figli, fra le raffiche di vento che ancora non ci abbandonano. La barba ce l’ho, il libro e la macchina fotografica anche, mi mancano solo i muscoli (il vichingo tipico è davvero piazzato bene, io ho la barba).
Mi siedo su una panchina e passo una buona mezz’ora alternando la lettura alla fotografia, come facevo nei miei viaggi in solitaria, mentre Ale prima fa shopping e poi legge e i piccoli guerrieri cercano di conquistare il parco giochi con urla da normanni latini.
Adoro mescolarmi con le persone del posto e osservarle, ascoltare senza capire i loro discorsi, osservare i gesti che fanno, cosa mangiano e cosa bevono, come si relazionano fra di loro. Avrei dovuto fare l’antropologo.
Torniamo in treno alla nostra casa per cena: pasta al pomodoro e smørrebrød casalinghi. Il vento soffia ancora forte da ovest.
DAL DIARIO DI FRENCI

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