
La prendiamo con calma. Sappiamo di voler vivere la notte danese e quindi ci svegliamo molto tardi. Mentre facciamo colazione e ci prepariamo per uscire, rifletto sulle piccole cose che ho imparato in queste case straniere e che mi vorrei portare a Ferrara, oltre alla hygge.
Le finestre sono progettate per aprirsi del tutto, ma anche per avere piccolissimi spiragli aperti che in pratica fanno passare l’aria, ma non l’acqua, dovesse mai piovere. Tutte le prese sono dotate di interruttori, così puoi staccare la singola presa. Il taglio dell’erba in giardino lo fanno quando per me pare appena rasata. Le tende oscuranti e gli scuri sono un optional, quando sorge il sole ti svegli.
La prima parte della mattina scorre come il replay del giorno prima: treno, tentativo fallito di recuperare una christiania bike, successo al secondo tentativo, per caso.
Con i potenti mezzi e due e tre ruote andiamo subito a visitare la parte più fotografata della città, la via del Nyhavn, il quartiere portuale, tra traghetti, batane e case del ‘700 dagli intonaci colorati e i muri storti.
Poi ci dirigiamo a cercare un negozio di surf (Naami), io e Frenci cerchiamo da giorni una collanina a testa. Non lo troviamo. Chiediamo a quello che sembra proprio essere un surfista e sta prendendo la sua auto sportiva parcheggiata. È il titolare del negozio. Ci racconta che è chiuso da diversi mesi, c’è solo uno show room, ma apre su appuntamento. La produzione di vestiti e scarpe a loro brand continua come laboratorio. Gli faccio l’in bocca al lupo.
Poi la Ricciola, in uno slancio di agonismo, ci fa fare un ride infinito fra ponti e canali, canali e ponti fino a che non arriviamo a Reffen, il divertente e lascivo mercato di cibo da strada, nonché area urbana dedicata alle start-up, all’innovazione e alla creatività. L’ex zona industriale-portuale è stata recuperata con successo. Nonostante la scomodità per arrivarci, è pieno di giovani e famiglie che si rilassano come in spiaggia, tra cocktail, birra, cibi del mondo, sdrai, musica e container. C’è anche uno skate park dove si perdono Cip e Ciop. Mentre lo raggiungiamo, sudando sotto il sole con la mia bici-cargo, noto in un magazzino, delle scaffalature sulle quali sono stoccate delle barche a motore, fino a cinque piani.
Anche io mi sono meritato da bere. Il destino mi presenta una rigenerante birra ai frutti di bosco.
Dopo la pausa pranzo, intervallata da profonde sessioni di fotografia, riprendiamo la strada con la bici che ha la sella più scomoda della mia vita. Il culo mi duole parecchio.
Passiamo dal quartiere Christiania, ma solo in bicicletta. Questa particolare zona della città nasce nel 1971 quando un gruppo di anarchici hippy occupa alcuni edifici della marina militare dismessi e dichiara l’indipendenza dal governo danese. Negli anni i residenti sono riusciti a raggiungere un accordo con il governo danese per il riconoscimento di Christiania come suolo autogestito. Nel maggio del 2011, sono riusciti ad acquistare il proprio territorio dal governo danese e ora dispongono di maggiore libertà esecutiva. Noi li abbiamo passati in volata, ma Christiania ha il suo asilo, la panetteria, la sauna, la fabbrica di biciclette, la tipografia, la radio libera, laboratori di restauro, il cinema, bar, ristoranti, luoghi di spettacolo.
Riportiamo le biciclette al negozio e facciamo riposare le nostre chiappe in un bar vicino ad un parchino. I pargoli sono stati scorrazzati e infatti giocano. Poi occupiamo l’ultima parte del pomeriggio a fare shopping. Entriamo e usciamo da negozi tutti uguali per la gioia di Frenci mentre Richi dorme.
Scopriamo per caso che c’è il Copenaghen Pride e infatti, in Rådhuspladsen un gruppo rock sta suonando cover degli ACDC, di Bon Jovi e di Brian Adams. Facciamo mangiare i piccoli (noi stiamo ancora digerendo il pranzo) e poi ci dirigiamo ancora verso Nyhavn per ritrarlo con il favore della notte.
Torniamo in treno, fra grosse risate da stanchezza. La notte la passiamo a prenotare alcune delle prossime fermate per arrivare a casa.
DAL DIARIO DI FRENCI

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