
Partiamo con molta calma, dopo l’ennesima notte di guerriglia interna contro le zanzare belghe che hanno occupato il nostro appartamento. Le finestre di frontiera sono state aperte solo per garantire il minimo di brezza necessario a far scendere la temperatura equatoriale accumulatasi durante il giorno, ma loro ne hanno approfittato senza alcun pudore.
Arriviamo a Bruxelles intorno a mezzogiorno e mentre ci incamminiamo verso Grand Place incontriamo un compatriota di Napoli che fa caffè espresso in pieno centro, all’interno di una specie di roulotte, allestita di tutto punto. Prendiamo un espresso e un cappuccino e gli auguriamo Forza Napoli.
Ci fermiamo poco prima della Grand Place per una tappa gastronomica, assaggiamo i gaufres alla maniera di Bruxelles. Scelgono Frenci e Richi e ovviamente sono pieni di nutella e dolciumi. Sono abbondantemente sufficienti anche come pranzo.
Passo a vedere un locale in cui ero stato con Ciccio 15 anni prima. Avevamo bevuto birre e ascoltato un po’ di musica dal vivo. Facevo finta di scattare foto al gruppo di musici, mentre cercavo di sorprendere e immortalare il sorriso di una ragazza molto elegante e affascinante. Da qualche parte devo averle ancora quelle foto. Il locale è stato sostituito da una panetteria, ma riconosco la forma degli ambienti e il soppalco. Mi spiace un po’ e lo scrivo a Ciccio.
Oggi invece scatto foto alla Grand Place, che si presenta elegante e affascinante proprio come quella ragazza e come ricordavo. Facciamo una tappa obbligata al Manneken Pis (evento motivante per far muovere le due piccole pesti) una statua in bronzo del 1619, alta una cinquantina di centimetri che rappresenta un bambino che sta urinando (in fiammingo significa ragazzo che piscia): molto sofisticato. C’è la folla a guardarlo e in mezzo anche io e mentre lo faccio mi richiedo, come feci la prima volta: perché?
Camminiamo parecchio per il centro, tirando i due pargoli sui loro monopattini, dicono che sono stanchi, vedremo al parchino. Appena arrivati alla prima meta (Giardino Botanico), spariscono in mezzo alle giostrine e si mettono a saltare come Tarzan con le liane. Maledetti.
Mi tocca gestire l’ennesima evacuazione pomeridiana di Richi, puntualissima. Stavolta me la vedo brutta: seguo le indicazioni su Maps per un bar, ma non lo trovo. Lui scalpita. Giro l’angolo e trovo il museo dell’orto botanico, indica un bar interno, entro, è chiuso. Chiedo al bigliettaio se ci sono delle toilette, indica di scendere lungo la scala e ci salva.
Il primo parchino diventa noioso in poco più di mezz’ora, così ne cerco un altro. Trovo una specie di castello in legno con varie scale, saliscendi, corde e scivoli a sud della città, nel Hallepoortpark. Ci fiondiamo subito e finalmente leggo un po’ e poi discorro con la Ricciola delle esperienze dei nostri nonni durante la seconda guerra mondiale. Il diario di Anna Frank sta prendendo il sopravvento.
Prima di cena cerchiamo con Google un luogo dove rifocillarci e magari ascoltare musica, il gaufre mattutino si è volatilizzato e non abbiamo ancora ingerito null’altro. La ricerca si fa lunga e il cellulare si scarica e rimane fuori uso per una buona mezz’ora. I bimbi hanno fame, non possiamo attendere. Così ci spostiamo “alla vecchia”, io che mi oriento con l’ombra al suolo e seguo i punti cardinali e la Ricciola che mi segue sulle mappe poco precise della Lonely Planet di Belgio e Olanda. Quando il cellulare rinviene siamo a Nord della città, a pochi chilometri da Grimbergen (patria dell’omonima birra), dove eravamo diretti. Ce la caviamo ancora.
Il paesino è incantevole, ci sembra di essere tornati in Olanda. Parcheggiamo l’auto a pochi metri dall’abbazia, alta e severa, senza fronzoli e ci sediamo nel primo tavolo che troviamo libero del primo ristorante sulla strada. Assaporo una deliziosa cena a base di cozze alla belga, patate fritte con salsa e birra media (no, non la Grimbergen) al suono delle campane dell’abbazia.
“Diesci” – cit.
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