La traversata

Che giornata memorabile!

Dormita profonda. Colazione abbondante, servita dalla gentile e carina Madame della casa, con vista giardinetto interno. Facciamo due chiacchiere, io in inglese, lei in francese. A far colazione con me ci sono anche una famigliola felice ed un gatto nero.

Preparo lo zainetto per la spiaggia. Si va a cercare l’onda.

Alle 11.00 parto, con un sole splendente.

Arrivo a Cap Blanc Nez. La vista è sull’oceano, da qualche centinaio di metri sul livello del mare. Faccio photo shooting, come direbbe il Dragone.

Verso le 12.00 sono nella spiaggia sottostante. Mollo la macchina vicino alla scala che porta sul mare. Una roulotte nel parcheggio vende bibite, gelati e fritture. C’è di buono, penso, che non esiste un noleggio tavole, così anche avessi la tentazione…

A piedi raggiungo la spiaggia. E’ enorme. Bassa marea. Dietro la spiaggia, bianche alte scogliere fanno da sfondo. Davanti l’oceano. Non ci sono strutture, bagni, bar, ombrelloni, camminamenti. Niente. Puoi percorrere anche 100 m, sulla sabbia, senza incorciare nessuno. L’oceano è piatto, l’Adratico di pomeriggio, al confronto, sembra un leone. La Manica è una fregatura. Ovviamente non c’è una tavola in mare. Mi metto a fotografare la spiaggia e le persone attorno. Poi vado a stiracchiarmi sul bagnasciuga e immergo i piedi fino all caviglia. E’ fredda, ma ho sentito di peggio, per esempio in Portogallo. Comunque a fare li bagno sono in tre. E io non sarò il quarto.

Nel frattempo, pensando alle prossime tappe, inizio a maturare una strategia diversa da quella prevista. Il vantaggio di viaggiare da solo. Forse Londra la salto. Per diversi motivi. Intanto è un costo, logisticamente è un casino, e poi mi sto abituando a piccoli paesi e la metropoli la sento lontana. Mi piacerebbe andare in Scozia con calma, lungo strade blu, cosa che non posso fare se decido di andare nella Capitale. Infine conosco Londra molto bene e ci saranno sicuramente ancora altre occasioni (una potrebbe anche essere di ritorno dalla Scozia con Vancio, e in due si risparmia pure). Comunque ho ancora un po’ di tempo prima di prendere una decisione definitiva.

Provo a cimentarmi falegname. Tiro fuori il mio pezzo di legno e, con il coltellino preso ad Aosta, inizio, da profano, ad incidere. Prima volta per me. Intanto ascolto Eddie Vedder. Sembra di tagliare del formaggio, solo che le scaglie sono piccolissime e arricciate. Mi accorgo che per fare un lavoro di fino, come per la maggior parte delle cose nella vita, serve calma e dolcezza. E che c’è un senso di taglio migliore degli altri, in funzione della parte del legno che sto lavorando. Più la forma prende quella desiderata, più le cose si complicano e bisogna andarci piano. Mi devo comprare della carta vetrata. Quando, alle 14.30, decido di finirla, per oggi, sono abbastanza soddisfatto della mia bozza. Magari un futuro da falegname non ce l’ho, ma, se fossi un puffo con le ginocchia sane, sperimenterei immediatamente la mia nuova long board.

Me ne vado mentre un sacco di gente sta invadendo la spiaggia. Mi fermo per strada a mangiare in una di quelle roulotte dove vendono cibo da asporto, tipo piadinaro da noi. Mi prendo un sandwich, si chiama. E’ una mezza baguette. Attorno a me ci sono alcuni personaggi che mi ricordano il film francese “Giù al Nord”.

Faccio un salto alla spiaggia di Calais, giusto per gradire. E’ affolattisima. Due foto e, mentre sto andando al porto, mi fermo in un baretto per un caffè.

Non c’è nulla da fare.La travesrata in mare è sempre qualcosa che emoziona. Se poi abbandoni le certezze del continente per raggiungere le incertezze di un isola come l’Inghilterra, emoziona ancora di più. Sono teso. Attraverso frontiera e dogana senza particolari problemi. Il poliziotto mi chiede cos’ho. Dico che ho vestiti, un pc e tre bottiglie di grappa per regali. Mi chiede se è buona e rispondo che me lo auguro. Ride.

L’organizzazione è impressionante. Conto 999 “lane” (corsie) in cui fare la fila con la macchina, nell’attesa dell’imbarco. La mia è la 127. Mentre aspetto di imbarcarmi continuo a ripetermi di ricordarmi di tenere la sinistra, all’uscita dal traghetto. Guardo le macchine attorno a me e mi chiedo perché mai, oggi, guidino solo donne, poi mi accorgo che il volante è dalla parte opposta.

Imbarco. Ora partenza prevista 17.55. Ai 52 la nave si muove. Mi faccio il viaggio passando da ponte a ponte. Arrivato a Dover dopo circa un’ora e mezza, sbarco come i crociati di ritorno dalla terra santa.

Mi sento un alieno. Senso di marcia a sinistra, aree di sosta a sinistra, segnali in yard, rotonde in senso orario, sorpassi a destra. E’ cambiata pure l’ora. Agli incroci mi sento come quando ho imparato ad andare in snow board. Le curve a sinistra mi vengono meglio di quelle a destra. Mi scappa da ridere. Sono impacciatissimo. Mi sorpassano tutti, anche una vecchietta. Manca solo che mi faccia il ditone. Il peggio arriva quando entro in una strada con doppio senso di marcia e vedo gli altri venirmi incontro dalla parte di destra. Mi scappa un “merda”! Dopo una decina di minuti inizio a sentirmi meglio. I Led Zeppelin, messi su il giorno prima, vengono spodestati a fatica dal Live in Hide Park dei Red Hot.

L’Ighilterra ha di buono che capisco cosa dicono gli autoctoni e posso chiedere alla gente. Per prima cosa, mi servono delle sterline. E, infatti, fermo un ragazzo che mi indica una banca. Le banconote hanno un formato diverso e non ci stanno nel mio portafoglio. Inizio a pentirmi di aver attraversato il canale. E non ho ancora avuto a che fare con la tensione dell’elettricità e le prese.

Alle 21.00 (ore locali 20.00) raggiungo l’hotel a Folkestone. La camera non è gran che, ma pare pulita. La wifi è solo nella hall. La mia finestra, però, dà direttamente sull’oceano. Non si può avere tutto.

Scendo nella hall e mi faccio una birretta al bancone del bar, proprio come un inglese. Nel fattempo quello di fianco a me si spara due pinte. Che pivello che sono.

Il gestore dell’hotel mi suggerisce di andare al festival Ska che c’è in centro.

Mi incammino. Al porto dei ragazzini fanno evoluzioni con la BMX in uno skate-park. Due tipe fingono di fare jogging, le raggiungo ogni volta che si fermano a chiacchierare e io sono zoppo. Seguo il consiglio del locandiere, ma il festival Ska, in realtà, è un pub con un gruppo che suona e chiedono 5 sterline per entrare. E io ho fame. Di fronte c’è una piazzetta con diversi posticini dove fanno da mangiare. Mi prendo un hamburger fatto in casa e me lo mangio nei tavolini della piazzetta, in mezzo alla gente ubriaca che canta le note di un karaoke lì vicino.

Torno in hotel e decido che non andrò a Londra. Anche in paesi piccoli, distanti un’ora e mezza di treno dalla città, si paga tantissimo.

Domani riprendo le strade blu. Non so ancora come. Ma so almeno cosa.

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