Se vi piace chiamatemi Pavol

 

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Quando mi sveglio, l’Ale legge già da un po’. Il sole è pallido. Puntiamo ad una colazione al Prater, ma non resistiamo ed entriamo nel bar di fronte all’Hotel. La cameriera ci prepara un panino burro e marmellata e tre fette di salame, per contorno. Un po’ schifato, mangio anche quelle dell’Ale, mentre una famiglia di italiani spaesati prende posto al tavolo di fianco.

Arrivati nei pressi del Prater, comunque, ci infiliamo da Aida, una catena di pasticcerie viennesi, che dal 1913 si è organizzata per conquistare il mondo, e, infatti, è già sbarcata in Croazia, Bosnia-Erzegovina, Kazakistan e Arabia Saudita: seconda colazione a base di fette di torta.

Satolli, visitiamo il Prater, saliamo sulla ruota panoramica più vecchia del mondo (Riesenrad), poi ci spingiamo fino al Danubio, nella zona che dovrebbe essere la loro spiaggia, ma non ci convince. Giriamo i tacchi e ci portiamo in zona Belvedere. Passiamo da uno Spar e ci concediamo un pranzo frugale alle 14.30 con pane formaggio e una banana, su una panchina nei pressi della biglietteria.

Visitiamo le sale del Belvedere e, in particolare i dipinti di Klimt, che ci ricordano il film Woman in Gold, visto pochi mesi fa, la vera storia di Maria Altmann, sopravvissuta all’olocausto, che, insieme all’avvocato Schönberg, ha fatto la guerra al governo austriaco per quasi un decennio, recuperando il quadro di Gustav Klimt “Ritratto di Adele Bloch-Bauer I“, appartenuto a sua zia e che era stato confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale. Mi soffermo a guardare Judith, davvero affascinante e sensuale.

Nel museo è vietato fare foto e i controllori delle sale ti stanno addosso, per verificare ogni movimento che fai con i cellulari. Un ragazzo in particolare osserva il pavimento come per concentrarsi sugli altri sensi, utilizzando facoltà nascoste e controllare le decine di turisti che riempiono la stanza di Klimt. Sembra un ninja, alza la testa improvvisamente, parte con passo celere e blocca chi sta tentando il colpaccio, fingendo di mandare messaggi su Whatsapp. Me lo immagino dopo otto ore di lavoro a casa come Lino Banfi in “Vieni avanti cretino“, dopo ore di fabbrica cibernetica.

L’Ale viene fermata da un fotografo italiano, Enzo Pellegrini, che, invaghitosi del suo profilo, le chiede di posare dentro il Museo, per qualche scatto. Io osservo lo shooting.

Usciti dal Belvedere, ci infiliamo in un piccolo birrificio, Salm Bräu, e degusto una Märzen che fanno dal 1841: superba. Prenotiamo un tavolo per la sera successiva a nome Pavol (il nome che ha capito la cameriera, probabilmente il mio antenato austriaco, la foto sopra).

La sera, dopo i preparativi, siamo troppo stanchi per riprendere la metro e ceniamo di nuovo al nostro vegetariano preferito, Hollerei.

Domani è l’ultimo giorno a Vienna, ma non abbiamo ancora deciso cosa faremo dopo.

 

 

 

 

 

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