Il viaggio più lungo della mia vita

Stamattina ho la conferma delle mie precedenti previsioni. Ultima granita al nostro bar di fiducia con il signore dalla maglietta verde e poi partiamo con la macchina piena di bagagli e ricordi. Salutiamo la casa, il mare, le strade e tutte le persone che abbiamo incontrato. E via, sulla strada.

Un viaggio così lungo non l’ho fatto mai. Sempre in macchina, tranne quando prendiamo la barca per attraversare il mare e quando ci fermiamo per mangiare o per giocare a calcino con il fratellone. Mi annoio a morte. Canto, leggo, urlo, tiro piedi e capelli al fratellone, urlo. Ad un certo punto urliamo tutti e quattro, io rido un po’, ma non sono sicuro sia un momento di ilarità. Smetto per far calmare le acque.

Fatto il riposino dopo pranzo, ci fermiamo per un gelato e per sgranchirci le gambe vicino al mare, ma non mi fanno fare i tuffi, nonostante le mie chiare intenzioni.

Poi, indovina indovinello, macchina e maledettissima strada. Cosa ci troverà il vecchio nella strada, sempre uguale, grigia con la riga bianca in mezzo, ovunque.

Finalmente arriviamo. Camera gagliarda, prendo subito confidenza con tutti i gradini e oggetti pericolosi che ci sono in giro. Usciamo immediatamente, fortunatamente a piedi.

La nuova città che ci ospiterà per chissà quanto, è molto carina. Tutta bianca, sembra un ghiacciolo al limone. Giriamo un pò le stradine strette, poi ci fermiamo a mangiare. Divoro l’impossibile sotto gli occhi di una gentile cameriera: ho una fame che neanche fossi a digiuno da una settimana.

Poi, la tragedia incombe. Me ne sto bel bello a salire e scendere i gradini di quel grazioso ed elegante ristorante, quando sento un boato devastante. Salto come un gatto sul gradino, scivolo, prendo un colpo di spavento, poi realizzo che probabilmente poteva essere finito il mondo e attacco a piangere disperato. Dopotutto se il mondo finisse sarebbe davvero un problema per noi piccoli, capisco un vecchio come il Matu che si è giocato le sue carte, ma io no.

Tra l’altro, proprio lui dice che hanno solo chiuso una specie di tapparella di ferro, ma credo si sbagliasse di grosso. Non riesco a smettere di piangere. E poi cos’avrà mai da ridere quell’impastato. Mi consola, ma ci metto un bel po’ a farmela passare.

Mi passa del tutto quando mi fanno assaggiare la tetta della monaca, probabilmente una consolazione che mi riporta a ricordi remoti, dolci e morbidi.

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