Arrivederci raga

Mattinata nera. Voglia zero di andare in spiaggia, ma mi ci portano comunque, con la promessa di trovare nuovi paguri da lanciare in acqua, promessa non mantenuta.

Arrivati in spiaggia, una specie di inferno pieno di pazzi che urlano, appena ho contatto con l’acqua mi viene freddo, troppo vento, troppo sole, troppe urla, troppi schizzi, troppa sabbia. Troppo.

Inoltre, qualche piccola ferita sotto i piedi che mi sono fatto ieri mentre giravo scalzo sugli scogli con il Matu, mi brucia per colpa dell’acqua salata del mare maledetto e zozzo. Mi mettono il cerotto e cercano di convincermi a fare castelli di sabbia. Non funziona. Mi portano a bere un succo. funziona.

Comunque sto aggrappato al Matu tutta la mattina, piagnucolando ogni qualvolta tenti di lasciarmi a terra o ad altri della cumpa (mamma, nonna, nonno, zia) e per vendicarmi gli piscio addosso.

Non la prende bene, anche se finge di ridere.

Che sia latte o che sia uova, finalmente mi portano a casa, pranziamo e mi sparo il meritato riposino.

Usciamo di casa solo nel tardo pomeriggio, che pare essere più allineato alle mie aspettative.

Stiamo sempre con gli zii a zono per la città, faccio gare di corsa con Aida. Facciamo aperitivi, osservo gli strumenti musicali per strada di un gruppo che ancora non aveva deciso di suonare, mangiamo. Poi ci portano alle giostre, arrivano anche i nonni, ci siamo tutti, tutti, tutti e mi sparo la giostra che gira, quattro corse sulle moto, due scivoli velocissimi.

Do baci e abbracci alla zia e ad Aida, perché domani tornano a casa con anche Pi e Gaia.

Sono così felice di essere andato sulle moto che torno a casa sul passeggino cantando alle stelle “I want it all”, insieme ai grilli estivi.

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