Facciamo colazione alle 11, per necessità dei proprietari: è domenica anche per loro e posticipano l’apertura del bar. Come le mattine precedenti, la simpatica donna si preoccupa un po’ perché non mangiamo anche sandwich con salumi e formaggi, ma solo paste. Partiamo alla volta di Faro mentre passano alla radio Africa.
Arriviamo, dopo essere passati per un market Continente per alcune spese e aver spezzato la fame con l’ennesimo pastel de nata, all’ostello 1878. E’ molto bello e la nostra camera accogliente. Pranziamo nella cucina comune e partiamo per raggiungere la spiaggia.
Faro è circondata da una vasta laguna con molte isole. Sembra di averla già vista, ricorda il nostro territorio. Un ponte ad una corsia, che si attraversa ad intermittenza con il flusso di vetture a senso di marcia opposto, collega la terra ferma ad un’isola e la sua spiaggia, lunga diversi chilometri. C’è un gran vento, il mare è mosso e la forte corrente sposta i bagnanti che, continuamente, devono risalire la spiaggia per ritrovare il loro asciugamano. Provo a farmi un paio di onde con la mia tavolina, ma non mi diverto granché. Decidiamo di andare a visitare la città.
In questo periodo la capitale dell’Algarve offre FolkFaro, un festival di musica popolare: le locandine sono ovunque. Il centro è bello e pulito, la piazzetta della parte vecchia ospita il palco. Un’ariosa e luminosa piazza guarda il porto turistico e la laguna. Sui tetti delle case e delle chiese, numerosi nidi indicano che la città è tra le preferite mete delle cicogne, e i frequenti passaggi di aerei della Ryan, a distanza ravvicinata, sopra le piazze, indicano che l’aeroporto non è molto lontano. Facciamo aperitivo con una bifana, in due, al bar Baixa: un cliente al bancone mangia “bagige” e tonno essiccato, che si deve essere portato da casa e che taglia con un coltello, come fosse formaggio, mentre aspetta l’inizio della partita del Benfica. Me ne offre una fetta, lo assaggio: sembra prosciutto di tonno, ringrazio. Faro è rilassante, poche persone, poco rumore, a tratti desolata. Ristoranti lungo la via offrono, nel menu, spaghetti alla bolognese, l’unico piatto italiano che non esiste, se non all’estero, e i clienti, dopo la cena, fanno partite a carte sul tavolo.
Ceniamo in una vineria, ma beviamo birra, con diverse piccole portate di piatti tradizionali a base di molluschi e pinchos, poi passiamo dalla piazza del quartiere vecchio per ascoltare un po’ di musica del festival. Il gruppo boliviano è il più interessante, colorato e spettacolare. Viene voglia di andare a visitare il loro paese.