
Oggi decido di poltrire, mi alzo con la sveglia delle 7.45, posticipata fino alle 8.03.
Nonostante ci sia foschia e il sole tardi ad arrivare, mi tocca fare una discreta coda per prenotare l’ombrellone, procedura richiesta quest’anno dal protocollo COVID-19.
Per fortuna l’acqua è particolarmente trasparente. I bagnanti, le barche e i windsurf si stagliano sull’orizzonte di un pallido grigio-azzurro, quasi bianco, e sembrano dirigersi verso un limbo lontano.
Anche le meduse devono avere capito che aria tira oggi, perché non si vedono in giro.
C’è aria di tempesta.
Faccio una nuotata con Frenci sulle spalle, torno ansimante: devo rimettermi a correre, penso.
Il sole, ritardatario, arriva con prepotenza a metà mattinata. Si boccheggia.
Io e Frenci costruiamo un castello di sabbia immerso in un mare di stelle cadenti, su richiesta della mamma.
Pranziamo in un bar sulla spiaggia, vicino al nostro ombrellone. Sulla lavagna di ardesia, vicina alla macchina del caffè, hanno scritto un aforisma: “La felicità non è una meta, ma un modo di viaggiare”.
Non so per quale subconscia connessione neurale, forse l’hamburger accompagnato dalla bionda (media), il tutto mi porta alla mente i pranzi, pomeridiani, fatti in Portogallo, dopo una bella surfata rigenerante.
Nel pomeriggio riprendiamo la via per la spiaggia: c’è un discreto vento e tuoni dall’entroterra e ci accorgiamo di essere come salmoni controcorrente, tutti stanno risalendo dalla spiaggia.
La vacanza si anima un po’.
L’arenile si è svuotato, c’è un forte vento, quasi fastidioso, e il mare è leggermente mosso: la bandiera rossa sconsiglia ai bagnanti di entrare in acqua.
Io non vedo l’ora di entrare.
Convinco Frenci a prendere la tavola e gli faccio cavalcare qualche ondina; un paio le cavalco anche io.
E ancora una volta, oggi, mi torna in mente il meraviglioso Portogallo. Bello e selvaggio, fastidioso e affascinante, freddo e potente. Come il suo oceano.
Torniamo presto, per evitare la pioggia segnalata da qualche goccia che scende dal cielo, qua e là, e perché ultimamente Frenci sta diventando un viveur: è ora che vada a letto a un’ora decente.
Non abbiamo fatto i conti con la giornata più avventurosa degli ultimi cinquant’anni, a Bibione.
Dopo una doccia spaziale accompagnata da buon reggae, una cena a base di piatti da rosticceria del Despar e un buon Long Island per me (e un gelato per Frenci), per colpa della pioggia entriamo nell’edifico principale del resort per ascoltare un duo che fa piano bar, snocciolando tutto il repertorio de I Ricchi e Poveri.
I teutonici (e Frenci) sono entusiasti.
Improvvisamente scatta l’allarme antincendio e tutti siamo invitati a raggiungere il primo punto di raccolta a disposizione, sotto una leggera pioggia estiva.
Torniamo nel nostro bungalow, ma l’allarme, diffuso per tutta la Via Lattea per mezzo di altoparlanti che neanche nei concerti dei Metallica degli anni più ruggenti, non ci permette di mettere a letto il nano prima delle 22.30.
Bene, ma non benissimo.
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