
Oggi compio dieci mesi.
Il tempo è volato. Sembra ieri che ne avevo nove.
E comunque me ne sento ancora tre, ho le energie di un neonato.
Dovrò stare più attento a quello che mangio, non potrò più abbuffarmi di latte tutte quelle volte al giorno. E dovrò spingere di più con gli allenamenti, per imparare a camminare.
A proposito. Fino a ieri faticavo a gattonare, ma ormai da diversi giorni mi alzo in piedi da solo, aggrappandomi alla qualunque. Punto veloce alla mia grande, personale, vittoria. Spostarmi sulle gambe.
Al mattino torniamo in spiaggia. Il mio rapporto con il mare tuttavia, non migliora. Non è questione di abitudine. Mi fa schifo.
Schifo la sabbia, schifo il vento, il freddo e le onde, schifo il sole, non vedo una cippa. Sto bene giusto il tempo in cui il Matusa mi tiene con lui dentro quell’immenso blu (se non tocco con i piedi il fondale) oppure a giocare dentro il canottino, con l’acqua e poca sabbia.
Non capisco proprio perché mi abbiano portato qua. Dicevano che era per me, che mi sarei divertito, che mi faceva bene. Sarebbe meglio si facessero gli affari loro.
Provo una sorta di fascino quando guardo le onde, mentre sono in braccio all’anziano papà, o alla santissima madre. Ma è tutto. Per il resto mi viene da piangere.
Credo di essere un tipo da scoglio. Da spaghetti allo scoglio. Forse mi troverei meglio in montagna.
Dopo pranzo riprendo a gattonare come un grande, negli angoli più bui della casa. Ispeziono tutto. Continuano a bloccarmi e a rimettermi al punto di partenza, il centro del salotto.
Pare che non si esca perché il fratellone si è preso la febbre: pivello. Come fai a prenderti la febbre al mare, con ‘sto caldo? Il primo esce sempre con qualche difetto, per fare bene bisogna perseverare nonostante gli errori.
La madre santissima mi lascia in balia del malato grave e del Matusa che si improvvisa esperto fotografo e inizia ad usare il suo obiettivo nero contro di me, facendo sembrare il salotto uno studio professionale. Io scappo, gattono così veloce che impreca perché tutti gli scatti gli vengono mossi.
Però, poi, passiamo cinque minuti gagliardi. Il vecchio mi insegna a salutare dal terrazzo. Mi fa salutare i cani, le macchine e tutte le tipe che salgono dalla spiaggia, e come si diverte! Io sorrido a qualsiasi cosa si muova, anche alle tende che ballano al vento.
Dopo cena il trio pieno di brio festeggia il mio decimo mese con dolci al cioccolato e gelato, che io non posso mangiare: pidocchi. Ma ve la farò pagare a tempo debito.
Il giorno seguente è all’insegna del gattonamento.
Appena sveglio faccio a gara con il fratellone a chi va più veloce. Lui mi batte sul lungo, ma in quanto a sprint non ho rivali. Il mio corpo è una macchina perfetta per gattonare. Le braccia aperte tipo bulldog e le ginocchia morbide, unite alle anche snodate, mi danno un vantaggio notevole sullo spilungone.
Al mattino andiamo a farci tutti visitare da un certo dottore, in un certo ospedale, di una certa città: di più non so. Matusa si compra una tavola nuova, si sarà sentito in colpa per aver usurpato quella di suo figlio due giorni fa.
Nel pomeriggio, sempre in casa, gioco a nascondino con Frenci. Lui scappa e si nasconde, io lo devo trovare. Quando si nasconde disteso sul divano, sotto un lenzuolo, ci metto un po’, ma poi gli vedo la mano, rido di brutto e mi arrampico per agguantarlo. Mi fa morire dal ridere il mio fratellone, quando non stressa.
La sera andiamo in un posto che non ricordo perché mi addormento subito. Mi sveglio e mi vogliono appioppare della pappa da neonato, protesto e mi rifilano del pane tipo bruschetta: molto meglio.
Punto ormai al mio undicesimo mese, con coraggio sprezzante ed entusiasmo.
Muoversi a piacimento non è più un obiettivo impossibile.