
Ci svegliamo con un gran vento.
Io non sono certo quello che si possa definire un esperto, ma credo fermamente che oggi il mare non lo toccherò.
Ci mettiamo in macchina abbastanza presto, non ho idea del perché, finché non arriviamo dai nonni. Loro non stanno però nella solita casa, quella dell’orso enorme con tutti i giochi che fanno suoni e i tappeti con gli animali, ma in una casa più piccola, vicino al mare.
Andiamo in un posto, a bere caffè, dal quale vedo il mare.
Oggi è arrabbiato. Molto arrabbiato. Spero non mi ci portino. C’è anche della musica e io sto lì con la nonna, mentre il resto della cumpa sparisce.
Ad un certo punto mi affaccio dall’alto, sulla spiaggia, e vedo il Matusa che gioca con il mare usando la tavola piccola del fratellone. Roba da non credere. E come se la ride.
A pranzo il nonno e Frenci giocano con dei piccoli cerchi, li tirano in alto e gridano “festa o croce” o qualcosa del genere, mentre io mangio pezzi di pane dal panino della santa madre e faccio la provola con una tipa del tavolo di fianco. La faccio ridere con versetti e sorrisi, la mia specialità.
Il Matusa sembra rinato, non capisco se per la rabbia del mare o per aver mangiato quello che lui chiama un ottimo hamburger con birretta.
Ad un certo punto la nonna mi porta sul passeggino a fare un giro. Black out.
Mi risveglio nella casa dei nonni, in un letto sconosciuto. Ma sono tutti qua con me: il nonno, la santa madre, il fratellone e pure il Matusa.
La casa è divertente, gattono senza fermarmi, gioco con il fratellone e Matusa, e il nonno, per tutto il tempo.
La sera la passiamo a vedere il sole che va a dormire. Tutto rosso e arancio e giallo. Bello. Mangiamo in un posto che non conosco. Non lontano da me, ad un altro tavolo, un altro bambino più o meno della mia età, cerca risposte a domande premature. E’ teso, ce l’ha con i grandi. Come me.
Per la prima volta nella mia vita faccio un saluto, con la mano, tipo gatto del ristorante cinese. Lo saluto come un camerata, lo saluto come un poeta guerriero. Lui mi vede e sorride. Un giorno combatteremo insieme per la libertà.
Mentre bevo il latte con il Matusa, nel tavolo di fianco arriva una pizza enorme. Come è ovvio che sia, smetto di bere quella brodaglia tiepida e punto la preda più grossa; solo che la mia felicità dipende da una signora che non conosco. La pizza è sua.
Cerco di ingraziarmela con sorrisi smaglianti. Non funziona. La santissima mamma crede sia giunto il momento di farmi dormire.
Poco dopo ho un breve momento di dormiveglia: sono a casa e sento il rumore delle onde del mare. E’ ancora arrabbiato.
Il giorno dopo, il canto del mare non è passato, e neanche il vento. Niente spiaggia. Andiamo in un’altra città, piena di scale, salite, gradini, stradine strette strette: un gran caldo.
Di bello c’è che il Matusa mi fa vedere il mare dall’alto. E’ così bello che mi viene da ridere. Mi pare si chiami Castello Sardo. Sta tutto sopra un monte.
Non capisco perché il mio fratellone, invece di guardare tutta quella bellezza, colori da ieri sera. Non hai mai smesso. Sempre con il pennarello in mano. Cos’ha che non va?
Dopo il riposino del pomeriggio, facciamo merenda a casa. Frenci chiede al Matusa doppia razione di cereali, ma poi non li vuole finire. Il Matusa, con aria superiore, chiede a fratellone perché non mangia ciò che ha chiesto. Lui risponde che non è colpa sua, è l’altro che gli ha dato troppi cereali.
Lo mettiamo sempre in scacco: ha di buono che se la ride della grossa, il poverino.
Nel frattempo io mi finisco lo yogurt bianco con la banana della madre santissima.
La sera torniamo a vedere il sole che va a dormire. Prima in un posto sulla spiaggia (il Matusa continua a fare foto da giorni), poi a casa. Mi solleva verso il sole. Adesso sono capace di salutarlo. Ma lo farò domani. Però tutti ridono. Non ho proprio capito perchè. Comunque, che sia latte o sia uova, sono stanco.
E infatti, poco dopo, terminate diverse scorribandate sul terrazzo, sfidando luoghi vietati ed inaccessibili, facendo impazzire il Matusa e la santa mamma che mi inseguono senza risultati, mentre la luce del giorno, stanca, cede il passo alle sottane nere e stellate della notte, vado a dormire anche io.