
Partiamo di mattina, sul presto, e raggiungiamo una nuova spiaggia.
Per arrivarci dobbiamo prima fare una lunga strada con la macchina, poi una lunga strada a piedi in mezzo agli alberi e poi un bel po’ di spiaggia.
Matusa, carico come un mulo, annaspa da subito: suda e fatica a parlare.
Comunque è bellissimo. Faccio un bagno e mi ambiento subito: poca gente, mare blu e un bel venticello. C’è anche un bar proprio sulla spiaggia. E ce n’è anche un altro un po’ più in là, ci vanno il nonno Gegè col fratellone e lui quando torna dice che lo preferisce, ma nessuno mi ci porta.
Il Matusa torna dal mare con diverse conchiglie e le mostra come fossero tesori dicendo di averle raccolte dagli abissi più profondi. Poi inizia a farfugliare di certe gesta eroiche, di essere arrivato su uno scoglio al largo abitato da cormorani con cui ha parlato, di aver visto una razza sul fondo del mare e che bello qui e che bello lì e bla bla bla.
Io, comunque, mi ambiento così bene che non dormo e a pranzo faccio il pieno di pane carasau.
Il riposino con la panza piena è da aristocratico: sulla sdraio, all’ombra dell’ombrellone, in riva al mare, accompagnato da brezza di mare e ciuccio, con due bodyguard che controllano che non cada sulla sabbia (Matusa e il nonno Gegè).
Stiamo anche un pò il pomeriggio, ma vedo la cumpa abbastanza giù di corda e infatti non tardiamo a ripartire.
Quando arriviamo a casa Matusa è a pezzi: l’è strazà, come dice lui.
Passiamo una splendida mezz’ora di spettacolo offertoci dal vicinato, mentre bevo il latte col Matusa sul terrazzo: un tizio cerca di recuperare un pallone, che dei bimbi hanno tirato sul tetto, prima arrampicandosi a petto nudo e in ciabatte e poi da un terrazzo adiacente al tetto con un retino da pesca. Non capisco proprio come facciano a ripetermi che i grandi sono maturi.
Matusa comunque non cena neanche, poi non so, perché, dopo aver salutato tutti i cani del quartiere, svengo.
Comunque, che sia latte o che sia uova, non deve aver dormito bene neanche la notte dopo. Il giorno successivo, infatti, a parte un giretto mattutino in paese, stiamo tutto il tempo in casa e Matusa è così stanco che dorme come me: prima di mangiare e dopo mangiato, solo che io mi sveglio per il pranzo e lui no. Ha una certa età ormai, va capito.
La cosa strana della giornata è che dal mare, continuamente, arrivano canti in una lingua che non è quella con cui mi parlano. Saranno quelle famose sirene di cui ho sentito parlare tante volte? Non saprei, ma durano tutto il giorno.
Verso sera raggiungiamo i nonni e la bella cuginetta Aida in un bar sulla spiaggia, dove ero già stato qualche giorno fa, e anche stavolta il fratellone gioca con dei cerchi col nonno a una cosa che si chiama testa o croce. Ma stavolta gli deve essere girata male, perché fa certe facce deluse.
Mangiamo una pizza mentre il sole va dentro il mare, a riposare.
Poi andiamo in un posto con un sacco di luci e musiche diverse e macchine che girano intorno e altre cose del genere. Il fratellone e la bella cuginetta Aida spariscono in queste macchine tante volte. Io mi guardo intorno stupefatto. Non pensavo esistessero posti così interessanti. Anche se è tardi non dormo, ma appena giunto in macchina alla prima curva, svengo.
Quando entriamo in casa, in un breve momento di lucidità, sento ancora i canti che vengono dal mare e i vecchi che parlano di certe luci e fuochi che devono salire dal mare stanotte, e si chiedono se avranno la forza di vederli.
Chissà.