
Ci svegliamo con molta calma (gli altri della cumpa, a me in realtà cambia poco) e senza fretta andiamo a trovare i nonni e a salutare la bella cuginetta Aida che parte e torna a casa sua, quella lontana dal mare.
Lei non vede l’ora di ritornarci, dice che qui al mare ne ha già avuto abbastanza. Posso capirla, per noi piccoli è davvero dura, dovremmo coalizzarci, per far valere i nostri diritti. Gli adulti superano spesso il limite accettabile.
Pranziamo al solito bar da cui si vede la spiaggia, dove avevo mangiato la pizza ieri sera. Arrivano anche gli zii. Non credo di essere riuscito a salutare la bella cuginetta Aida perché svengo.
Mi sveglio in un letto grande, che non credo di conoscere, in una stanza diversa dal solito. Chissà se è una cosa che succede solo a me? Al mio fianco, steso sul materasso, Matusa mi fa le faccette. Io temporeggio con sorrisi, mentre mi guardo intorno per capire che fine abbia fatto.
Il mio compagno di letto sembra aver dormito, non perde il vizio di sonnecchiare con me al pomeriggio.
Che sia latte o che sia uovo, scopro ben presto di essere in casa dei nonni, quella al mare.
Gattono per tutto il pomeriggio per esplorare gli angoli più segreti, correre dietro al fratellone che gioca a nascondersi con Matusa e nonno Gegè, e, quando capita, finisco a morsi una banana che mi porge la santa madre per merenda. Ogni tanto faccio la spia e indico al Matusa dove si è nascosto Frenci. Finisce però che lui arriva sempre primo a tana: è lui veloce, o l’altro lento?
Poco dopo andiamo anche a fare il bagno in mare, io, fratellone, madre santissima e Matusa. Mi diverto, l’acqua è calda e un po’ blu, un po’ verde. La sabbia è grossa e giocarci è divertente.
Poi saliamo al bar, ci sono due tipi che suonano e cantano, ascoltiamo un paio di canzoni prima di ritornare a casa.
Matusa si sente ispirato dalla musica ascoltata al bar e mi dà il latte sul terrazzo ascoltando un certo Marley: dice che così mi culla al ritmo giusto.
Il giorno dopo lo passiamo tra spiaggia e casa. L’unica grande novità accade di sera. Matusa e madre santissima mollano me e il fratellone con i nonni e vanno chissà dove, in un posto che si chiama L’incantu, credo per mangiare.
Capisco Frenci, ma almeno me potevano portare i due vecchiardi, che poi in quattro e quattr’otto mi addormento ed è come non avermi.
Stamattina, appena sveglio, li sento parlare in casa e capisco che la cena è andata alla grande.
Prendendo a prestito le parole del Matusa, bellissima location e vista incantevole, piatti di pesce molto buoni, servizio adeguato, vino delicato: una serata d’incantu, sopratutto, dice il ruffiano, per la compagnia.
Unici nei: un capo sala che chiama la madre santissima Alessà (eresia!), non trova la loro prenotazione fatta quattro giorni prima e, nonostante il ristorante sia completamente vuoto al loro arrivo, li segrega nell’unico tavolo in cui la vista di Castelsardo è sostituita da una colonna portante del locale; e il polpo, finito dal Matusa nonostante avesse la consistenza di un mio gioco in gomma, di quelli duri.
Problemi da adulti: io mangio tutto, in qualsiasi location.