Home sweet home

Stamattina scappiamo dal tugurio il prima possibile. I ragaz parlano di ritorno a casa. Immagino sia l’ultimo giorno di marcia. Prima di partire per davvero ci fermiamo in un bar a scofanarci paste, pasticcini, pasticciotti, caffè e bicchierini di latte. Così si viaggia meglio, in effetti.

Ne abbiamo fatta di strada in questo viaggio, ma non è ancora finita. Vedo la linea bianca della strada per tutta la mattina, poi ci fermiamo a mangiare in un posto dove ci fanno aspettare ere geologiche per un piatto di pasta; ripartiamo e vedo la linea bianca della strada anche nell’ultimo pomeriggio (il primo me lo dormo).

Ad una certo punto, quando sto per strippare davvero, riconosco Bobo, sì, quello sulla strada che mi dà tutti quei panini e piade buonissimi e che piace tanto al Matu per la birra.

Siamo finalmente a casa.

Mentre gli altri sistemano le cose io riprendo confidenza con i giochi in giardino. Poi con quelli dentro casa.

Che bello, tutto ciò che non ho visto per giorni mi sembra meraviglioso. Il segreto della passione è la lontananza.

Dopo una doccia profonda (probabilmente ho dovuto pagare il fio della libertà vacanziera) ci dirigiamo dai nonni, quelli che vivono in alto alto. Mangiamo da loro la pizza. c’è anche la zia Franci. Io distruggo qualche mobile nuovo e qualche mobile antico e intrattengo la cumpa per paio d’ore buone con versi, cabaret, acrobazie e corse fra le stanze.

Mi manca un po’ il viaggio, ma a casa si sta meglio.

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