Pranzo a sbafo, risaie e avventure croate

Chiudiamo le portiere dell’auto alle 10.30 circa, dopo la nostra colazione preferita: Bar San Giorgio.

Dirigiamo il mezzo verso sud, raggiungeremo Aosta per la “via bassa”, evitando il traffico previsto per zona Brennero, Milano e laghi.

Il viaggio scorre liscio, a parte qualche fisiologica bisticciata. Ho sistemato i pargoli con una super playlist a base di Simple Plan, Michael Jackson, Niccolò Fabi e Alanis Morrisette. Perfino Orso & Orso (due piccoli orsi di plastica, identici, se non consideriamo la sfumatura del colore, compagni di viaggio di Frenci e Richi) , se la spassano alla grande, ballando gran parte dei pezzi più movimentati.

Frenci alterna la posizione del piede ingessato tra bracciolo anteriore e zaino tra i sedili.

A metà viaggio incontriamo un temporale con fulmini e tuoni, pioggia scrosciante e vento, mentre il senso di marcia contrario è fermo, incastrato in code infinite.

Ci fermiamo a mangiare in un autogrill, poco dopo Voghera. Non ordino niente conoscendo i miei piccoli polli: vinco mezza lasagna alla bolognese (o quasi), mezzo panino con salame e formaggio e, grazie alle premure della Ricciola (ottima crostata fatta in casa e uva dolcissima), anche oggi faccio giornata.

Riprendiamo il viaggio attraverso le risaie di Vercelli: mi tornano in mente le storie di mia nonna Fedora. Partiva da Ferrara per fare la mondina stagionale per tre mesi nelle risaie: contribuiva così anche economicamente al benessere familiare. Mi raccontava delle sue avventure e una di queste mi rimase impressa nella mente. Un giorno una biscia d’acqua importunava le giovani lavoratrici che stavano a piedi nudi nell’acqua: tutte erano terrorizzare e chiamavano in loro aiuto la mia nonnina che, con coraggio estense, prese la biscia a mani nude e le tirò il collo. Non sono mai stato sicuro che questa storia fosse reale o meno, ma non mi interessava, era una bella storia (se escludiamo il punto di vista della biscia) e continuavo a chiederle che me la raccontasse.

Arriviamo ad Aosta verso le 16.30, passando per Pont Saint-Martin (vecchi cari ricordi). Per accedere all’appartamento e alla nostra camera bisogna prendere un ascensore esterno, in metallo, rivolto verso sud: praticamente una sauna finlandese. Al suo interno ci accolgono almeno 55 gradi centigradi e, considerato che devi leggere il codice e digitarlo sul tastierino per raggiungere il tuo piano, il tempo sembra fermarsi, all’inferno,

Andiamo in centro ad Aosta per cercare una buona pizza. mi ritrovo dopo 13 anni a passeggiare per quella città che mi ospitò all’inizio del mio viaggio in solitaria verso la Scozia nel 2012, lungo le strade blu: sembrano passate ere geologiche. Ritornarci con i miei figli è come unire i puntini, all’indietro, che mi hanno condotto fin qui. All’epoca non li sapevo vedere, o intuire, quei puntini.

Ci fermiamo in un locale del centro, stipato di turisti, ci mangiamo una pizza accettabile, a parte Richi che cambia programma e si scofana una cotoletta tipo uomo di Neanderthal alle prese con un mammut. Riassaggio il genepy, per brindare all’unione dei puntini. Tra l’altro mi porto a casa anche la lattina di Coca Cola di Frenci che porta stampato il mio nome, lo prendo come un segno.

Stasera dormiremo un una unica grande stanza tutti e quattro. Per farli addormentare inizio a raccontare vecchie avventure croate, vissute più di trent’anni prima con Cinzia, Nicola, Dragan, Edo, Zan e tanti altri amici, ma la cosa mi sfugge di mano e invece di farli addormentare li faccio ridere a crepapelle.

Sarà che in questo momento mia sorella è davvero tornata a Pola con tutta la famiglia e incontrerà la vecchia cumpa, o sarà che potrei fare le stesse cose che feci allora, ma i miei racconti hanno già lasciato il segno anche dentro i miei figli. Croazia, seconda casa che mi accolse e mi trasformò da impastato ad adolescente.

Ad ogni modo la strada mi chiama, e la strada è vita (prendendo spunto e modificando un leitmotiv della mia serie preferita, Ted Lasso) : domani si riparte per la Francia.

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