Freud era femminista?

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Il sole sorge ancora e noi temiamo di abituarci troppo bene. Usciamo dall’Hotel e ci dirigiamo verso Schönbrunn (il monumento più visitato dell’Austria) a piedi, poiché dista poche centinaia di metri. Fa caldo e sulla mappa della città le distanze sembrano più fattibili. In realtà ci mettiamo 30 minuti sudati a raggiungere il luogo in cui avremmo voluto fare colazione, dietro “casa”. E’ chiuso.

Fortunatamente, a fianco, c’è Waldemar, che fa anch’esso colazioni, e per la prima volta in questo viaggio mi prendo un espresso con un croissant. Semplice, ma col sapore di casa.

Entriamo nei giardini del castello  e lo giriamo per un paio di ore, con i suoi fiori, la Gloriette, i labirinti, le fontane. Ricordo perché non lo ricordavo (sono stato a Vienna nell’infanzia, con famiglia e parenti). Non mi appassionò allora e non mi appassiona oggi.

Il bel tempo ci saluta a metà giornata, lasciando il palco per il secondo atto a vento e pioggia. Ritorniamo in hotel e proviamo, a pranzo, un ristorante vegetariano nella traversa adiacente, Hollerei. Ci sediamo nel giardino esterno, all’ombra di una vigna, visto che ancora le nuvole non si decidono a piangere: i miei spiedini di verdure sono eccezionali. La carne è decisamente sopravvalutata.

Il pomeriggio lo passiamo nel museo di Freud, ricavato nel suo studio-abitazione, in Berggasse 19. Qui, il padre della psicoanalisi visse per 41 anni. Nel 1971 si allestì il museo, con la collaborazione di Anna, la figlia minore.

Quello che mi ha colpito dell’esposizione è il parallelismo fra il processo di emancipazione femminile e la nascita dell’attività psicoanalitica, che permise prima la guarigione e poi la crescita di molte “pazienti”. Queste si avvicinarono a quel mondo, apportando poi un enorme contributo allo stesso. E’ il caso di Emma Eckstein (paziente precoce di Freud che successivamente ha esercitato la professione di psicoanalista, membro attivo del partito femminista viennese),  o di Marie Bonaparte (paziente di Freud e traduttrice delle sue opere in francese, fondatrice della prima società psicoanalitica francese), oppure di Sabina Nikolaevna Špil’rejn (paziente e amante di Jung, resa celebre nel film “A Dangerous Method“, una delle prime psicoanaliste), ma anche di  Lou Andreas-Salomè (psicoanalista russa che elogiava Freud), o, ancora, Helen Deutsch (allieva diretta di Freud).

Termini come psicoanalisi, femminismo, sessualità, femminilità, emancipazione risulta abbiano avuto un’origine comune, temporale e culturale. La liberazione dalle gabbie delle costrizioni della società attraverso la psicoanalisi, che permetteva la “guarigione” da ciò che veniva chiamata isteria, era il motore e il carburante per l’evoluzione della società stessa, che maturava e riconosceva nuovi diritti, come il voto, alle donne. Freud, dal canto suo, nel 1880 traduceva un libro sull’emancipazione femminile.

Esco dal museo con una confezione di mentine Super-Ego e una maggior fiducia nel genere umano.

Camminiamo sotto la pioggia, circondati dai tram bianchi e rossi che si riflettono nelle pozzanghere, fino a raggiungere Landtmann, il caffè preferito di Freud e ci scofaniamo una fetta di Sacher in suo onore.

Per cena torniamo al ristorante vegetariano, Hollerei, vicino all’hotel. Parliamo di psicoanalisi, meditazione e di app “creative”, mentre assaggio in Riesling austriaco niente male.

 

 

 

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