Notti da viveur e stelle cadenti

Mi sveglio gagliardo, andiamo in spiaggia presto e inizio subito ad importunare signore di una certa età, sedute su sedie a sdraio nei pressi del bagnasciuga.

Faccio colpo e vengo preso in braccio da una di loro, che mi riempie di versetti e sorrisi, dopo averla ricoperta di sabbia per scalare la sua grande coscia.

Matusa arriva tardi questa volta, a giochi fatti. Chiede scusa, mi piglia e mi porta via.

La giornata è piacevole. Finalmente si respira, una leggera brezza mi scompiglia il mono-ciuffo, corredato da boccoli laterali, che ho in testa. Il mare è blu. Mi perdo a guardarlo.

Tra schizzi di acqua salata, manciate di sabbia in faccia e giochini da spiaggia, la mattinata corre veloce. Matusa e il fratellone tornano sugli scogli e blaterano di avere abitato un certa casa, completa di bagno, sala da pranzo, cucina e due camere da letto. Io vedo solo sassi; allucinati.

Il pomeriggio lo passiamo in parte in casa. Io e Frenci giochiamo gattonando sotto il tavolo della cucina, in camera da letto del fratellone e in soggiorno, come fosse un gran premio. Inutile dire che abbia vinto. Sono agile, minuto e sveglio. Passo sotto le sedie come un topo. Il fratellone a stento, invece.

Poi andiamo in quel paese che si chiama come Castello Sardo, o cose del genere, prima a comprare libri (uno ne arriva anche a me, con la frutta che si muove) e poi, con anche i nonni, andiamo a vedere il sole entrare nel mare in un posto alto alto. Solo che il sole scompare molto prima di andare nel mare. Una tipa con un gran cappello bianco e un sorriso ancor più grande mi colpisce. Ottengo la sua attenzione seduto sul passeggino, da distanza non troppo ravvicinata, e vinco diversi sorrisi. Mi parla ma non capisco.

La parte migliore della serata però arriva insieme ad un grosso cane bianco e nero. Lo saluto, mi guarda, sono felice.

Pensavo poi mi portassero a letto, ma la notte brava prosegue. E io non me la perdo.

Andiamo su per il paese che sembra una montagna. Perdiamo il fratellone, il nonno e Matusa per un bel pò. Poi me li ritrovo in un bar a mangiare gelati, i traditori.

Poi black out. Le mie riserve finiscono e dormo sul passeggino, ahimè. Non so nemmeno come mi riportino a casa, so solo che ad un certo punto sento della musica a volume pazzesco, ma non ho la forza di verificare cosa sia.

La mattina dopo è un film già visto. Andiamo al mare. Inutile dire quanto io ormai mi senta a mio agio. I bagni sono diventati un piacevole sollazzo. Arrivano i nonni e Matusa, fratellone e Gegè se ne vanno in quella fantomatica casa sugli scogli. Il fratellone torna pavoneggiandosi perché ha visto con la maschera sott’acqua i pesci. Lo farei anche io se mi considerassero.

Pranziamo fuori, non torno a casa neanche per il riposino, ormai sono un girovago fatto e finito. Mi risveglio che siamo ancora al ristorante. Che sia latte o che sia uovo, o io ho dormito poco o loro hanno mangiato tanto. Propendo per la seconda.

Il pomeriggio è banale, a tratti noioso: mi perdo a gingillarmi da solo sulla sabbia con i giochini di Frenci.

La sera, dopo la cena, i ragaz non smettono di parlare di stare fuori sul terrazzo a vedere le stelle cadenti. Faccio di tutto per non farmi addormentare, le voglio vedere anche io. Non credo proprio che le stelle possano cadere. Ma vorrei dare loro una possibilità di riscatto.

Comunque non lo saprò mai.

Poco dopo aver salutato dalla finestra della camera da letto un cane, al guinzaglio della sua padrona, illuminato dalla luce di un lampione sulla strada, mentre la brezza di terra mi solletica, svengo.

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