
Torna il maestrale, questo vento scorbutico e impertinente che continua a spettinarmi il mono-ciuffo biondo.
Tutte le volte che arriva, smettiamo di andare in spiaggia, anche perché non esiste più, l’acqua del mare arriva fino al bar che di solito è sulla sabbia, ma che da oggi è sull’acqua. Sembra una barca.
E poi anche i nonni se ne sono andati, non ci rimane nessuno da andare a trovare.
Mettiamoci anche che quella santa donna della mia madre non è al top: ed è subito vita da bar.
Il primo bar lo faccio con Matusa al mattino presto; noi due da soli, da veri uomini. Lui con i suoi anni e la sua esperienza guadagnata sul campo, io con l’esuberanza degli anni più giovani. Siamo una bella coppia. Gli estremi di un segmento. Che devo percorrere.
Ci sediamo a The Lounge, il mio bar preferito, frequentato da molti cani e padroni annessi.
Mi bevo con lui una spremuta di arancia leggermente acida, acqua naturale e annuso la tazza del caffè: di pregiata fattura.
Poi il vecchio mi porta vicino alla spiaggia, vuole fare foto ai surfisti, ma non se ne vede nemmeno l’ombra.
Ad ogni modo io svengo e non posso testimoniare sul suo operato.
Il pomeriggio lo passiamo tutto in casa, tranne per una parentesi di spesa al supermercato, rigorosamente vicino.
Quando torniamo Matusa e Frenci se ne vanno per i fatto loro, pare a fotografare al tramonto i surfisti che non erano presenti al mattino. Mi ha già rimpiazzato il vecchio. Ma mi consolo egregiamente con la santissima madre.
Tra l’altro, divento sempre più esperto della comunicazione: per esempio, se ho sete, miro con lo sguardo un bicchiere e mi tocco la gola. E funziona!
Il giorno dopo è la noiosa fotocopia del primo. Solo che ci sono anche le nuvole.
Da subito andiamo a Sa Ferula per colazione, ascoltando le onde del mare e i lamenti del vento. Poi prendono un secondo caffè a The Lounge, dove il Matusa mi insegna le percussioni con due cucchiaini.
Nel pomeriggio sono il protagonista di un importante incidente. Seduto sulla sedia, mangiando frutta per merenda, mi spingo così tanto contro le gambe del tavolo che mi ribalto all’indietro. Nessuno riesce a pigliarmi in tempo e volo a terra. Non so proprio come, ma che sia latte o che sia uovo, praticamente non mi faccio nulla e dopo pochi attimi di pianto torno a fare il panico che facevo prima. Forse di più. I vecchi confessano ricordi di eventi passati quattro anni prima… La storia si ripete.
Usciamo per portare il mio fratellone a fare ginnastica sul mare. Come si diverte! E io che neanche cammino, quanto mi piacerebbe! Mi accontento gattonando sull’erba con il fazzoletto in testa (perché c’è vento) come la bella lavanderina.
Ceniamo da Sonia e Matteo, che ormai sono anche amici miei. Proprio non sopporto che mi diano dei cibi dedicati a me, io voglio quello che metti in bocca tu seduto al tavolo, proprio quello, fosse anche una schifezza. Quindi rendo alla cumpa la cena indigesta a forza di lamenti persistenti necessari a farmi rimpinzare di tutto ciò che appartiene al banchetto.
Speriamo che il maestrale cali, ho bisogno di un bagno.