Mentre aspetto che scendano tutti dalle stanze, nella hall dell’hotel, in sottofondo, Freddy canta I want to break free e la receptionist la canticchia. Oggi è l’ultima chance per visitare un paio di cantine di “piccolo taglio”. Il sole splende alto promettendo un grande successo. Accendiamo il motore e partiamo, accompagnati dai Goo Goo Dolls.
Prima di andare per cantine, ci dirigiamo a Verzenay, al museo della vigna, dentro al faro che vigila sul mare di viti, radicate sulle colline a perdita d’occhio. Il museo è interessante. Non avrei potuto immaginare quanto lavoro ci potesse essere dietro una bottiglia di vino e quanta attenzione ai particolari fosse necessaria, fin dalla cura della pianta. E quanti donne e uomini prima di noi hanno lavorato duro, consentendoci di poter godere dei frutti della conoscenza da loro appresa e tramandata nei secoli. Un bicchiere di champagne non è solo un bicchiere di champagne.
Verso le 12.00 lasciamo in fretta il faro. Abbiamo fissato appuntamento da Pascal Mazet, una piccola cantina a Chigny les Roses. Arriviamo con un pò di ritardo, mentre lui e la moglie stanno pranzando, ma interrompono per mostrarci la cantina. Da tre generazioni coltivano viti e producono champagne. Poche bottiglie ma buone, curate personalmente dal marito che sembra una via di mezzo fra un Einstein della vite ed un bohémien invecchiato. Usciti dalle viscere della terra, assaggiamo tre tipi di champagne da loro prodotti e poi facciamo il nostro ordine. Salutiamo i gentili coniugi e andiamo in cerca di un boccone.
Pranziamo al Mont Joly, a Villers Allerand, conversando di fede e coerenza (no, non abbiamo bevuto champagne questa volta).
Dopo pranzo ci dirigiamo verso la cantina di Alexander Filaine, a Damery. La produzione è limitatissima perché , anche in questo caso, il processo è tradizionale e Alexander fa proprio tutto, da solo. Lui è molto ruspante e molto simpatico, anche se fatichiamo a capire il suo francese. Fortunatamente il figlio spiaccica qualche parola di italiano, imparato al liceo. Alexander ci mostra prima la cantina, poi, per introdurci alla degustazione, apre due bottiglie “à la volée“. Siamo commossi: facciamo un ulteriore ordine. Lui e suo figlio ci salutano, mentre riprendiamo il nostro cammino.
Verso le 17 arriviamo al camping municipale di Epernay. Noleggiamo una barca a motore elettrico da una gentile madame. Risaliamo silenziosamente la Marne, un fiume che scorre fra le valli di vigne e i campanili delle abbazie, placido e lento, diversamente dalle nostre conversazioni, che, dopo un armistizio durato un paio di giorni, tornano a farsi più “focose”, per la gioia di anatre e cigni, che ci evitano accuratamente.
Decidiamo di passare la serata a Montmort. Ceniamo al Cheval Blanc. Il cibo e il servizio sono buoni, la bottiglia di Champagne ancora di più, ma, probabilmente condizionati dal nome del paese, concordiamo tutti sul fatto che quel posto abbia un’aria misteriosa e terrificante, a partire dal cameriere: quasi ci sembrasse di essere protagonisti di un film horror. Lasciamo una coppia con neonato in balia del loro destino e fuggiamo, rombando, nella notte nera.
Torniamo a Reims per l’ultima volta. Lungo il tragitto, io e Pietro scommettiamo una birra belga sui tempi del viaggio per arrivare all’hotel.
Perdo la scommessa: domani offro io, a Strasburgo.