Mi sveglio da un sonno profondo. La cosa incredibile è che riesco a camminare senza grossi problemi. Mi viene in mente ciò che Gesù disse a Lazzaro e lo uso come titolo del post.
Dopo una abbondante colazione, riprendiamo il cammino. La mia vescica è peggiorata e mi duole. Ci inerpichiamo fra colline verdi e ricoperte di fiori, fattorie, boschi, ruscelli, immersi in odori di stalle e caminetti accesi.
Alle 11.15 siamo a Vilela ed esce il sole. Chiacchieramo molto.
Incrociamo cinque pellegrini in momenti diversi, uno svizzero, due polacche e due francesi.
I miei piedi ricominciano a farmi male, ma la cosa strana è che il dolore lo sento meno se mi muovo, come se il Cammino volesse darmi la sua prima lezione: anche quando soffri non dimenticarti di proseguire per la tua strada. Ma forse vedo solo quello che voglio vedere.
A Vilamartin pranziamo nei pressi di una catasta di legno con frutta e cioccolato. Poco più avanti troviamo un bar per un caffè e un paio di cagnolini con cui fare amicizia.
Arriviamo alle 18.30 circa a destinazione, dopo 27 chilometri, insieme ad un bel sole, mentre nel campo di calcio di Lourenzà, a giudicare da urla, musica e cori stanno giocando la finale di coppa dei campioni.
Abbandono il gruppo deciso a fare la mia prima esperienza in un albergue. C’è rimasto giusto un letto per me, non capisco dove siano stati tutti fino ad adesso perché lungo la strada ho incrociato solo lo svizzero e l’albergue conta almeno 12 posti letto. Fra gli ospiti conosco una Francesce che canta in stanza Edith Piaf, un gruppo di tedeschi, una spagnola e un italiano, Carmine, che dice di avere fatto il cammino 11 volte, 5 solo l’anno scorso. Gli faccio i complimenti.
Pago i sei euro all’ospitalera e lei mi timbra la Credencial. Sono emozionato.
Riesco anche a cenare con Valentino e Marisa a base di menù del Peregrinos da 10 euro in una locanda del paese. Sono un Pellegino fatto e finito.